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L’accesso al tetto nel condominio
In questo articolo Michele, IZ2FME si occupa di un’annosa questione, ossia il diritto del condomino/inquilino radioamatore di accedere al tetto del fabbricato condominiale. Sempre più spesso, infatti, riceviamo segnalazioni dai nostri iscritti che ci riferiscono di “veti” imposti da zelanti Amministratori di Condominio, i quali sono restii a consentire il libero accesso alla copertura da parte dei condomini (specialmente se radioamatori), preoccupati per le loro responsabilità (anche penali?) di custodi. Argomento quindi di scottante attualità e, crediamo, di grande interesse. Ringraziamo IZ2FME per questo servizio sempre più apprezzato dalla grande Famiglia dell’ARI. Buona lettura e cari 73 a voi e alle vostre famiglie dalla Redazione.
DOMANDA: Carissimo Avv. IZ2FME, grazie per gli interessantissimi articoli che scrivi all’interno della tua bella ed acuta rubrica Dalla Parte della Legge su RadioRivista: sono scritti unici che è impossibile trovare sul web e il tuo è quindi un servizio molto utile (brava ARI!). Volevo chiederti come mi devo comportare con l’Amministratore del mio Condominio (io abito in provincia di Udine), che da oltre un anno mi vieta di salire sul tetto con la scusa che egli si ritiene responsabile per qualsiasi sinistro (tocchiamo ferro, HI) dovesse capitare a me, ovvero ai condomini o anche ai beni condominiali, in occasione dei miei sopralluoghi per le necessarie e periodiche visite manutentive delle antenne. L’Amministratore a sostegno della sua tesi cita il D. Lgs. n. 81/2008 (?). Al tetto si accede grazie a una botola chiusa a chiave e la chiave è detenuta dall’Amministratore. Il tetto è praticamente quasi in piano, ha la linea vita e comunque ci sono degli alti parapetti che di fatto, anche in caso di cadute, impediscono di finire di sotto: insomma io posso lavorare in totale sicurezza! Tieni presente, Michele, che io non posso permettermi di affittare ogni volta una piattaforma e questo atteggiamento da parte dell’Amministratore mi sembra una plateale ingiustizia nei miei riguardi: ma dove è finito il “diritto di antenna”? Ti prego, dammi qualche suggerimento, in privato o – se pensi che questo possa essere un problema generale – direttamente nella tua rubrica. Se passi dalle mie parti sarei felice di averti mio gradito ospite, 73 de Matteo.
RISPOSTA: Caro Matteo, invito accettato. Se mi capiterà di venire in udienza a Udine, ti chiamo (grazie!). Il tema che poni nel tuo quesito è, purtroppo, d’interesse generale, direi anzi generalissimo. Soprattutto dopo il periodo del Covid ricevo sempre più di frequente richieste come la tua: chissà per quale motivo, sarà un caso? O, forse, perché anche gli Amministratori di Condominio, che sono poi alla fine delle persone normali (non tutti, ci sono sempre le eccezioni, HI), hanno paura anche della loro ombra. Del resto, ci hanno insegnato di questi tempi che tutti dovremmo avere almeno un po’ di paura di qualcosa… magari per essere un po’ più controllabili? Scusami, sto divagando.
Allora, come sempre, a costo di sembrare pedante, sono necessarie delle brevi premesse. L’art. 1102 del Codice Civile si occupa di regolare l’«Uso della cosa comune» e stabilisce il principio secondo il quale «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto»: come a dire, che ciascun condomino ha titolo per servirsi del tetto (di proprietà comune) per installarci delle antenne o dei manufatti “compatibili” con la sua funzione, ma – per esempio – non può trasformarlo in una pista di atterraggio di aeromodelli, perché ciò comporterebbe il mutamento della sua fisiologica destinazione.
Questa disposizione, per espresso richiamo ex art. 1139 del Codice Civile, si applica anche al Condominio degli edifici, appunto. Un tipico esempio di limitazione all’accesso alla copertura o alla terrazza condominiale è costituito proprio dal cambio della serratura della botola di accesso al tetto da parte dell’Amministratore di Condominio, o del condomino proprietario dell’ultimo piano che asserisca di essere il proprietario/utilizzatore esclusivo della terrazza e che – per tale motivo – ne precluda l’accesso agli altri condomini.
La giurisprudenza (e in particolare la Suprema Corte di Cassazione) ha stabilito che, nel caso in cui il tetto di copertura sia condominiale (ossia di proprietà comune, pro quota, fra tutti i condomini), ai sensi dell’art. 1117 del Codice Civile, i condomini non possono mai essere privati della facoltà di farne uso, ai sensi e nei limiti di cui al richiamato art. 1102 del Codice Civile, dal momento che la presunzione di condominialità ex art. 1117 non opera solo se sussista un titolo idoneo a superare tale presunzione, cosicché il bene possa servire in modo esclusivo a una sola parte dell’immobile che possa formare autonomo diritto di proprietà (Cass. Civ., sentenza n. 17928/2007). Tradotto dall’avvocatese, ciò significa che deve esistere un contratto trascritto presso la Conservatoria dei Pubblici Registri Immobiliari (non essendo a ciò sufficienti le schede catastali), che attribuisca la proprietà esclusiva del bene a un condomino e che – quindi – consenta di escludere la natura condominiale della copertura (diversamente, il tetto si presume sempre condominiale).
In altra circostanza, la Suprema Corte, facendo applicazione di questi principi, ha stabilito che nel caso in cui il terrazzo funga da copertura condominiale, il condomino che vanti un diritto esclusivo sul bene non può precludere l’utilizzo ai condomini proprietari di appartamenti posti nel medesimo stabile, poiché essendo il terrazzo un bene condominiale, ad essi non può essere escluso il godimento dei beni (Cass. Civ., ordinanza n. 23300/2017).
Nel tuo caso non è un altro condomino che ti impedisce di accedere al tetto (ritenendo di averne l’esclusivo diritto di utilizzo), ma è lo stesso Amministratore, il che è un fatto ancor più grave se si pensa che il Condominio è un mero Ente di Gestione (Cass. Civ., SS.UU., sentenza 18 aprile 2019, n. 10934) e l’Amministratore è il mandatario (ossia il delegato) di tutti i condomini (e quindi è anche il tuo mandatario), dei quali deve fare l’interesse (Tribunale di Torino, 10 febbraio 2022, n. 525).
Ma, si sa, ai sensi dell’art. 1130 del Codice Civile l’Amministratore può regolare l’accesso e l’uso della cosa comune nell’interesse dei condomini, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno di essi. “Regolare l’accesso”, però, non significa “vietarlo tout court” e neppure ostacolarne oltremodo l’esercizio con richieste o procedure complicate, macchinose e a volte temerarie. Per esempio, in un caso di cui mi sono occupato anni addietro, l’Amministratore pretendeva che prima di ogni accesso al tetto, il radioamatore gli inviasse con almeno tre giorni di anticipo una comunicazione scritta con la dettagliata illustrazione del motivo del sopralluogo e l’indicazione specifica delle garanzie e delle misure di sicurezza adottande… E se si fosse trattato di un accesso in via d’urgenza, magari di domenica quando gli uffici dell’ansioso e zelante Amministratore sono chiusi, perché l’antenna era stata piegata dal vento, rischiando così di rovinare a terra?
In giurisprudenza alcune decisioni affermano però il principio secondo il quale l’accesso al tetto di copertura condominiale, in circostanze eccezionali, può essere limitato (mai impedito) per motivi di sicurezza (vedi per esempio Tribunale di Milano, n. 6653/2019). In particolare, l’Amministratore può regolare e limitare l’accesso qualora ravvisi la presenza di concreti pericoli per l’incolumità dei condomini: per esempio (altro caso di cui mi occupai anni fa) si pensi a un tetto realizzato con una struttura in travetti orizzontali portanti, collegati da lastre in materiale plastico cedevole; camminare lì sopra significava correre il rischio, mettendo un piede non esattamente sopra la trave (peraltro non facilmente identificabile a vista), di cadere nel vuoto, facendo un volo di 20 metri (e, in quel caso, non vi era neanche la “linea vita” ove potersi ancorare).
L’Amministratore di Condominio, infatti – e su questo non v’è dubbio – assume una posizione di garanzia nei confronti dei beni comuni, e di conseguenza ha l’obbligo di adottare tutte le opportune misure di sicurezza volte a evitare possibili eventi lesivi a cagione dei condomini. In giurisprudenza troviamo molti esempi nei quali i Tribunali hanno applicato questo assioma (che del resto risponde a criteri di normale cautela e di prudenza, come tali condivisibili): dalla presenza di fioriere “volanti” sul parapetto del terrazzo condominiale, alla presenza di cornicioni o di calcinacci pericolanti, ecc.
Si deve però sempre trattare di specifiche situazioni che l’Amministratore deve conoscere, valutare e partitamente indicare, adducendo argomenti precisi. Pertanto egli non può fare di tutta l’erba un fascio, e limitarsi a vietare l’accesso al tetto “in quanto è pericoloso”, perché così opinando si avrebbe una tautologia: “è vietato l’uso del paracadute, perché è pericoloso: se non si apre ti schianti”. Diverso è dire: “è vietato l’uso di quel paracadute specifico, perché non è omologato, è inutilizzato da molti anni e il suo confezionamento non è stato certificato, quindi è potenzialmente pericoloso”.
Naturalmente, è la giurisprudenza penale ad aver per lo più declinato – in concreto – questi principi. Si è affermato, ad esempio che, in presenza di accertate situazioni di pericolo, l’Amministratore dovrebbe prima di tutto ordinare la delimitazione dell’area, segnalando i punti oggettivamente pericolosi e disponendo la rimozione dei vasi e dei manufatti in posizione precaria. Più in generale, l’Amministratore deve attivarsi in maniera tale da eliminare il pericolo in atto, perché – in caso di inerzia – risponderà (anche penalmente) per l’omessa manutenzione ai sensi dell’art. 40, c. 2 del Codice Penale (Cass. Pen., n. 46835/15), che recita così: «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».
Ai sensi del citato art. 40, infatti, sull’Amministratore «ricade l’obbligo di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, attraverso atti di manutenzione ordinaria e straordinaria, predisponendo, nei tempi necessari alla loro concreta realizzazione, le cautele più idonee a prevenire la specifica situazione di pericolo (fattispecie nella quale l’imputato, Amministratore di Condominio, è stato ritenuto responsabile delle lesioni colpose provocate ad un passante dalle mattonelle staccatesi dalla facciata dell’immobile)» (Cass. Pen. n. 46385/2015).
L’obbligo di attivarsi non è subordinato alla preventiva deliberazione assembleare ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da rendere opportuno, se non necessario, un intervento di urgenza (Cass. Pen. n. 34147/2012). In tale ambito l’intervento urgente dell’Amministratore non sarà di carattere ripristinatorio, ma avrà la natura di azione di “contenimento del pericolo”, ad esempio attraverso la segnalazione di esso con transennamento o speciale illuminazione, o anche attraverso la rimozione di elementi immediatamente pericolosi per la salute pubblica.
La Suprema Corte (sentenza n. 25540/2017) ha ritenuto un Amministratore di Condominio responsabile per non aver effettuato i controlli previsti ex lege, omettendo così di verificare la corrispondenza ai criteri tecnici di sicurezza del bene comune. E, ancora, sempre secondo la Corte di Cassazione, quando sussiste un rischio, i principi generali impongono all’Amministratore di intervenire a tutela delle parti comuni dell’edificio, a prescindere dalla causa del pericolo; deve pertanto ritenersi – sostiene la Corte – che il dovere per costui di attivarsi sussista anche quando il pericolo per le parti comuni provenga da un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini: la posizione di garanzia concerne l’incolumità pubblica e prescinde dal fatto che il pericolo trovi origine in un bene comune (Cass. Pen., Sez. IV, 23 settembre 2009, n. 39959).
In un altro caso, l’Assemblea di Condominio aveva deliberato di non consentire ai condomini l’accesso a una terrazza comune; il motivo dipendeva dal fatto che il parapetto attorno all’area comune era troppo basso e non conforme al regolamento edilizio comunale e, quindi, esponeva i condomini al pericolo di cadute accidentali. Un condomino che aveva l’appartamento vicino alla terrazza, impugnava la decisione ritenendola invalida per eccesso di potere, in quanto aveva delimitato l’area comune a tempo indeterminato e senza considerare la possibilità di alternative valide ai divieto d’uso. Di conseguenza riteneva che, in violazione dell’art. 1102 del Codice Civile, fosse stato ingiustamente impedito “totalmente” il diritto d’uso di una parte comune, tanto dall’Assemblea di Condominio, quanto dall’Amministratore che era deputato a dare concreta attuazione del decisum. Il Tribunale diede “ragione” all’Assemblea e all’Amministratore, perché erano state provate oggettive circostanze di non conformità del bene comune alle basilari norme di sicurezza, ribadendo ancora una volta il principio secondo il quale i limiti di uso dei beni comuni – e quindi anche del tetto di copertura – possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il quorum prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. Civ., Sez. 2, 4 dicembre 2013, n. 27233).
Ergo, possiamo concludere che l’unico limite della legittima “autodisciplina condominiale” è rappresentato dalla previsione del divieto sostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni; nel caso in cui, al contrario, l’Assemblea condominiale adotti (per ragioni oggettive di sicurezza individuate in concreto) una delibera che vieti soltanto un uso specifico, la deliberazione è legittima.
Fatta questa premessa e inquadrato correttamente il tema giuridico di riferimento, a me pare Matteo che il diktat dell’Amministratore del Condominio dove tu abiti sia davvero illegittimo, per i seguenti motivi.
Si tratta di una decisione unilateralmente assunta dall’Amministratore, senza che l’Assemblea abbia precedentemente deliberato al riguardo.
L’Amministratore ha opposto un generale e immotivato – nel merito – divieto di libero accesso al tetto, che è un bene comune e, come tale, liberamente fruibile da parte dei Condomini ai sensi dell’art. 1102 del Codice Civile.
L’Amministratore non ha individuato precise situazioni di pericolo o di non conformità.
Tu riferisci che il tetto di copertura è addirittura delimitato da alti parapetti ed è munito di una linea vita certificata, dunque parrebbe inesistente una situazione di pericolo anche solo in astratto.
Tu non sei un condomino “qualunque”, ma un radioamatore munito di regolare patente e di autorizzazione generale in corso di esercizio e quindi devi poter accedere al tetto per poter esercitare la stazione e manutenere l’impianto, così prevenendo eventuali sinistri o cedimenti strutturali – per esempio – dei sostegni delle antenne. È ben vero che i provvedimenti amministrativi vengono assunti dalla Pubblica Amministrazione, “fatti salvi i diritti dei terzi”, ma l’Amministratore non può comunque ignorare il tuo status e la ragione della tua necessità di accedere liberamente e senza condizionamenti al tetto di copertura comune.
Nessun rilievo hanno, nella fattispecie in esame, le norme del D. Lgs. n. 81/2008 invocate dall’Amministratore («Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro»), in quanto esse si applicano soltanto nel caso in cui egli sia identificabile nel committente di lavori.
È dunque probabile che l’Amministratore del Condominio dove abiti, volendo tagliare la testa al toro per dormire sonni tranquilli, anzi tranquillissimi, si sia determinato nel senso di vietare categoricamente l’accesso al tetto a tutti, indiscriminatamente e senza una motivata ragione oggettiva. Come dire: se vuoi risolvere il problema dello smog in città, adotta una norma che vieti di riscaldare le case in inverno e metta fuori legge l’uso dei veicoli a motore (ma che discorsi!). Che fare, allora? Io in questi casi suggerisco, prima di partire subito in quarta e instaurare un contenzioso giudiziale, di cercare una mediazione, rasserenando l’Amministratore ansioso e consegnando al suo ufficio, per esempio, una dichiarazione di “scarico di responsabilità” (per quanto, nel caso di giudizio, possa esser ritenuta valida ed efficace… ma di questo parleremo in un’altra sede).
Provvedo di seguito a trascrivere un modello di tale lettera e resto a disposizione dei soci che volessero riceverlo per posta elettronica in formato editabile (scrivete a carlone(at)avvocatocarlone.it).
Egregio Amministratore,
io sottoscritto, Sig. …, nato a …, il … e residente in …, Via …, n. … (accludo copia del mio documento di identità, doc. 1), nella mia qualità di condomino del Condominio denominato “…” (fabbricato sito in …, Via …, n. …), da Lei amministrato, Le confermo di essere un radioamatore (nominativo di chiamata: …) legittimamente autorizzato dal Ministero delle Comunicazioni (ora MIMIT: autorizzazione generale n. …, rinnovata in data … ed efficace sino alla data del …; patente n. …, in data …, doc. 2) e di avere la necessità di accedere periodicamente al tetto di copertura del detto fabbricato per le normali operazioni di installazione e/o manutenzione delle antenne radioamatoriali.
Sono altresì iscritto alla Sezione di … dell’Associazione Radioamatori Italiani e, come tale, beneficio delle coperture assicurative di cui alla polizza RC n. 2011/08/6112352, Italiana Assicurazioni – Gruppo Reale Mutua, Ag. Milano Castello (n. 259).
Ciò premesso, con la presente,
M A N L E V O
Lei personalmente, nella Sua qualità ut supra, e/o il Condominio da Lei amministrato, e/o i singoli condomini, da ogni e qualsiasi danno, e/o responsabilità (a qualsiasi titolo) che possano eventualmente prodursi per effetto e a seguito dell’accesso al tetto di copertura del fabbricato, assumendomi personalmente ogni responsabilità al riguardo e assicurandoLe al contempo che, nell’accedere al tetto di copertura, osserverò tutte le norme di sicurezza e di anticaduta in vigore, con la precisazione che accederò esclusivamente io al tetto, con esclusione di altre persone.
Se – invece – dovessi avere l’esigenza di far accedere al tetto di copertura dei terzi (ad esempio: personale di ditte specializzate, antennisti, ecc.), sarà mia cura mettermi preliminarmente in contatto con Lei e con il Suo Ufficio, comunicando i nominativi e le qualifiche di costoro e la durata dell’intervento.
Non v’è motivo affinché Lei opponga un generale e immotivato rifiuto all’utilizzo da parte mia del tetto di copertura condominiale, in base alle previsioni contenute nell’art. 1102 c.c., tenuto anche conto dei numerosi arresti della giurisprudenza, anche recente, e della Suprema Corte di Cassazione (una per tutte: Cass. Civ. n. 27233/2013).
La invito pertanto a consegnarmi a stretto giro una copia della chiave che apre la botola posta al piano … del fabbricato condominiale, al fine di accedere al tetto di proprietà comune, riservandomi, in caso contrario, di adire le necessarie tutele di legge e di agire nei Suoi confronti per ottenere la condanna al risarcimento dei danni (a titolo esemplificativo e non esaustivo: l’indennizzo di tutti i costi per la locazione di una piattaforma mobile, ecc.), facendo sin d’ora presente che se dovessero verificarsi dei danni da caduta delle mie antenne o dei correlativi supporti, specie (ma non solo) nei giorni festivi quando il Suo ufficio è chiuso, Lei sarà ritenuto personalmente responsabile (in solido con il Condominio) per avermi infondatamente impedito di provvedere a eseguire i lavori ripristinatori d’urgenza. Con riserva di ogni azione, e/o ragione.
Distinti saluti.
[luogo, data], F.to (Sig.…)
Nella speranza di esserti stato un po’ di aiuto, caro Matteo, ti invio i miei migliori 73 e a presto on air,
Avv. Michele Carlone, IZ2FME