Auguri. Per favore non sprechiamoli
Gabriele Villa, I2VGW
Auguri. Già, auguri. Per chi come me che, per lavoro maneggio, mescolo, e distillo parole e le metto per iscritto, quotidianamente, le difficoltà aumentano, credetemi. Mi spiego meglio: le parole scivolano via e scappano veloci quando si pronunciano e, peggio ancora, quando vengono scritte, verso le destinazioni più improbabili e più impensabili. Spesso arrivano persino al destinatario sbagliato e lanciano messaggi capovolti. Più frequentemente rischiano di venir sprecate, dette e redatte per convenienza, opportunità, retorica. Così, appunto, le difficoltà aumentano, se si fa un minimo di esame di coscienza, come, da qualche tempo, ammetto, io sto facendo per primo. Cominciando a pormi delle domande. Le ho usate, le sto usando in modo appropriato le parole che inanello? Hanno sempre rappresentato e continuano a rappresentare, puntualmente e sinceramente, il mio pensiero o sono state e, talvolta, lo sono ancora, falsate dall’emotività di un determinato momento?
Prendiamo, appunto, la parola auguri, visto che l’occasione delle festività si presta al meglio. Bene, sei lettere che mettiamo in fila, io per primo non sfuggo, con una disinvoltura e una leggerezza che, col tempo e con i tempi, ha, questa è la mia personalissima riflessione, reso sempre più sbiadito il colore del calore che questa parola dovrebbe, di diritto, avere e regalare, se pronunciata e scritta con il più profondo e autentico dei sentimenti e non come una sorta di intercalare, buttato lì e là, a manciate, come se si stesse seminando un campo. Il campo, in questo caso, delle banalità.
Gli Auguri debbono essere Auguri con la A maiuscola. Debbono giungere al destinatario giusto per rasserenare un animo fiaccato oppure per spronare a fare ancora meglio qualcuno che ha già fatto del suo meglio e ha però le capacità per fare ancora di più. Debbono tranquillizzare, incoraggiare. Debbono avere la forza di regalare un sorriso anche a chi magari non ha più voglia, né motivo, per sorridere. Perché quelle sei lettere cuciono insieme vocali e consonanti che hanno il suono e il sapore di qualcosa di dolce e quindi non vanno sprecate. Non vanno usate e abusate per congedarsi frettolosamente da qualcuno a cui non sappiamo che cosa altro dire.
Ecco perché vorrei, che i miei auguri questa volta fossero un po’ speciali per ognuno di Voi. Che arrivassero a colmare i vostri desideri, a scacciare le vostre disillusioni. Che fossero in grado di portare, non solo nello shack, ma nelle famiglie e nelle case di ciascuno di Voi una fresca brezza di serenità, un soffio di voglia di scommettere su un Futuro, come sempre difficile da decodificare, guardando però anche indietro, con indulgenza, ad un passato, il passato di ciascuno di noi, che non può venir rinnegato ma nemmeno gettato via perché costituisce le basi del nostro edificio morale, sentimentale, professionale e deve quindi aiutarci a fare muro contro qualsiasi amarezza. Credetemi, non c’è bisogno di invocare la parità di genere per gli Auguri. Perché sono sei lettere maschili e femminili, o se preferite “x” come è stato deciso di mettere per gli “indecisi” sui passaporti americani. Perché gli Auguri, quelli veri, non appartengono a nessuno ma appartengono a tutti. Perché, se avvolti nella carta dorata dei sentimenti, scaldano il cuore. Auguri!